DUE SECOLI DI VESSAZIONI E RESILIENZA DEL POPOLO VENETO.
DUE SECOLI DI VESSAZIONI E RESILIENZA DEL POPOLO VENETO
Una storia di resistenza identitaria e aspirazioni autonomiste (1797-2025)
PREMESSA: IL MITO DELLA “DECADENZA” SETTECENTESCA
Prima di narrare i due secoli di dominazione straniera che seguirono la caduta della Serenissima, è fondamentale sfatare uno dei più radicati pregiudizi storiografici: il mito della “decadenza” veneziana del XVIII secolo. Questa narrazione, costruita dalla storiografia risorgimentale per legittimare la fine della Repubblica e giustificare l’unificazione italiana, viene oggi smentita dalle evidenze materiali e documentali.
La Venezia del Settecento non era affatto un organismo morente, ma una realtà ancora straordinariamente vitale. I grandiosi Murazzi (1744-1782), opera titanica da diversi miliardi di euro attuali per proteggere la laguna, le migliaia di ville patrizie costruite in questo secolo, le centinaia di nuove chiese che punteggiano tutto il territorio veneto, i fiorenti commerci atlantici con perle di vetro muranesi, zucchero americano e prodotti esotici, testimoniano una civiltà tutt’altro che decadente.
Il XVIII secolo veneziano registra volumi commerciali stabili tra 20-25 milioni di ducati annui, un’edilizia religiosa senza precedenti, un rinnovamento industriale significativo e una vitalità culturale straordinaria (Goldoni, Tiepolo, Canaletto, Vivaldi). La popolazione mantiene consumi “pantagruelici” con 15.000 buoi e 45.000 manzi annui, disponibilità di acqua potabile doppia rispetto ai secoli precedenti e un’attrazione migratoria che dimostra le persistenti opportunità economiche.
La narrazione della “decadenza” serviva scopi politici precisi: presentare la conquista napoleonica del 1797 come conclusione inevitabile di un processo naturale, piuttosto che come distruzione violenta di un organismo ancora pulsante di vita. Era funzionale a giustificare l’unificazione italiana, dipingendo gli antichi stati come entità superate, e a costruire la retorica della “rinascita” ottocentesca dopo un presunto “secolo buio”.
In realtà, ciò che si spezzò nel 1797 non era un relitto del passato, ma una delle civiltà più raffinate e innovative d’Europa, capace di adattarsi ai nuovi circuiti commerciali globali pur mantenendo le proprie specificità. La vera tragedia non fu la morte naturale di un organismo malato, ma l’assassinio di una civiltà ancora vitale.
INTRODUZIONE
Dal fatidico 1797, quando si spense il millennio di gloria della Serenissima Repubblica, il popolo veneto ha vissuto oltre due secoli di dominazioni straniere, centralismo statale e sistematica erosione della propria identità politica e culturale. Venezia, che per mille anni aveva incarnato l’indipendenza, la prosperità e l’autogoverno, si trovò improvvisamente ridotta a provincia di imperi stranieri, privata delle sue istituzioni secolari e della sua sovranità.
Eppure, sotto la coltre delle successive dominazioni – francese, austriaca, italiana – ha continuato a pulsare un’anima irriducibile: quella di un popolo che non ha mai dimenticato cosa significhi essere libero e autogovernato. Questa è la storia di una resistenza silenziosa ma tenace, di un’identità che si è preservata nelle pieghe della storia ufficiale, alimentando oggi la legittima aspirazione a recuperare piena dignità istituzionale e autonomia.
1797–1815: IL TRAUMA DELLA FINE E L’INIZIO DELL’ESILIO POLITICO
La caduta della Serenissima: un millennio spezzato
Il 12 maggio 1797 rappresenta una delle date più drammatiche della storia europea: il Maggior Consiglio della Serenissima Repubblica di Venezia vota la propria dissoluzione. Mille anni di indipendenza, prosperità e innovazione istituzionale si concludono sotto la pressione delle armi napoleoniche. Il Trattato di Campoformio dell’ottobre successivo sancisce il cinismo della politica di potenza: Venezia viene “ceduta” all’Austria come merce di scambio, senza che nessuno chieda il parere ai suoi abitanti.
L’interregno francese: la prima standardizzazione
Sotto il dominio francese (1805-1814), inizia il processo di smantellamento sistematico delle istituzioni venete. L’amministrazione napoleonica, pur portando alcuni elementi di modernizzazione, impone un modello uniforme e centralizzato del tutto estraneo alla tradizione repubblicana veneta. Le antiche magistrature – il Doge, il Consiglio dei Dieci, i Provveditori – vengono sostituite da prefetti e funzionari nominati da Parigi.
La popolazione, abituata a partecipare attivamente alla vita pubblica attraverso le corporazioni e le assemblee cittadine, si trova improvvisamente esclusa da ogni decisione. Tuttavia, nella memoria collettiva rimane vivo il ricordo dell’autogoverno e della dignità perduta.
1815–1866: IL REGNO LOMBARDO-VENETO E LA LUNGA RESISTENZA AUSTRIACA
Il sistema asburgico: efficienza e oppressione
Il Congresso di Vienna del 1815 assegna definitivamente il Veneto all’Impero austriaco. Nasce il Regno Lombardo-Veneto, un’entità amministrativa governata da un Viceré e sottoposta al rigido controllo di Vienna. L’amministrazione asburgica, pur caratterizzata da una certa efficienza burocratica, impone una pesante fiscalità e limita drasticamente le autonomie locali.
Gli austriaci introducono la coscrizione obbligatoria – un’imposizione particolarmente odiosa per una popolazione abituata alla tradizione del volontariato cittadino. La pressione fiscale colpisce duramente agricoltura e commercio, mentre il sistema doganale austro-ungarico isola il Veneto dai suoi tradizionali mercati mediterranei.
1848-49: La Repubblica di San Marco e l’epopea di Daniele Manin
La rivoluzione del 1848 riaccende la fiamma dell’indipendenza veneta. Il 17 marzo, Daniele Manin e Niccolò Tommaseo guidano l’insurrezione che libera Venezia dagli austriaci. Nasce la Repubblica di San Marco, che per diciassette mesi incarna il sogno della libertà ritrovata.
La resistenza veneziana diventa leggendaria: la città resiste a un assedio spietato, affrontando bombardamenti, epidemie di colera e fame pur di non cedere. Il 22 agosto 1849, dopo aver resistito oltre ogni limite umano, Venezia è costretta alla resa. Manin e molti patrioti prendono la via dell’esilio, ma l’esempio della loro resistenza diventa un mito fondativo per le future generazioni.
La repressione austriaca è durissima: tribunali militari, confische, esili. Tuttavia, l’esperienza della Repubblica di San Marco ha dimostrato che l’anelito di libertà del popolo veneto non si era spento.
1866: L’ANNESSIONE CONTROVERSA AL REGNO D’ITALIA
Il plebiscito “irregolare”
Nel contesto della Terza guerra d’indipendenza, il Veneto passa dall’Austria all’Italia attraverso la mediazione francese. Il plebiscito del 21-22 ottobre 1866 si svolge in condizioni tutt’altro che libere: presenza militare, propaganda massiccia, esclusione dalle urne di ampie categorie sociali.
Il risultato ufficiale – 674.426 sì contro 69 no – appare palesemente manipolato. Fonti dell’epoca e ricerche storiche successive hanno documentato irregolarità, intimidazioni e brogli. Molti veneti, delusi dall’esperienza austriaca, speravano in una federazione italiana che rispettasse le autonomie locali, non in un nuovo centralismo.
Le aspettative tradite
L’unificazione italiana si rivela presto un’amara delusione. Il centralismo sabaudo-piemontese sostituisce quello austriaco, spesso aggravandolo. La tassa sul macinato colpisce duramente le classi popolari venete, mentre le tradizionali rotte commerciali verso l’Oriente vengono trascurate a favore di quelle alpine, più funzionali agli interessi del triangolo industriale.
FINE ‘800–ANNI ’40: L’EMIGRAZIONE DI MASSA E LA RESISTENZA CULTURALE
La grande fuga: quattro milioni di veneti nel mondo
Tra il 1880 e il 1930, oltre quattro milioni di veneti emigrano verso le Americhe, l’Australia, l’Europa settentrionale. È un esodo biblico, causato dalla povertà rurale, dalla mancanza di opportunità e dall’incapacità dello Stato italiano di valorizzare le potenzialità della regione.
Paradossalmente, questa diaspora diventa uno strumento involontario di preservazione identitaria. Le comunità venete all’estero mantengono lingua, tradizioni, cucina e solidarietà reciproca, creando una “nazione veneta” diffusa che conserva memoria e orgoglio delle proprie origini.
Due guerre sul territorio veneto
Durante la Prima guerra mondiale, il Veneto diventa il principale teatro del fronte italiano. Le distruzioni sono immense: intere città come Asiago vengono rase al suolo, centinaia di migliaia di profughi abbandonano le loro terre. Dopo Caporetto, il Piave diventa il simbolo della resistenza nazionale, ma a pagare il prezzo più alto sono le popolazioni venete.
Il fascismo e l’italianizzazione forzata
Il ventennio fascista intensifica i tentativi di cancellare l’identità veneta. La lingua veneta viene bandita dalle scuole, i dialetti scoraggiati, i cognomi venetizzati vengono italianizzati con la forza. Tuttavia, la cultura veneta resiste nelle famiglie, nelle osterie, nelle feste patronali, mantenendo viva una dimensione identitaria che il regime non riesce a sradicare.
1945–ANNI ’60: IL MIRACOLO ECONOMICO SENZA RICONOSCIMENTO POLITICO
La ricostruzione dal basso
Dopo la devastazione bellica, il Veneto avvia una straordinaria trasformazione economica basata su elementi endogeni: il lavoro diffuso, l’artigianato tradizionale evoluto in piccola industria, una mentalità imprenditoriale radicata nella cultura del fare e dell’innovazione.
Nascono i distretti industriali: tessile-abbigliamento, meccanico, del mobile, della calzatura, dell’occhialeria. È un modello di sviluppo originale, fondato su piccole e medie imprese, flessibilità, qualità, esportazione. Il Veneto diventa una delle locomotive economiche d’Europa, pur rimanendo politicamente marginale.
L’orgoglio del lavoro
Questo boom economico riaccende l’orgoglio veneto. La capacità di creare ricchezza dal nulla, di trasformare territori poveri in poli industriali avanzati, di conquistare mercati internazionali dimostra che il popolo veneto non ha perso le sue antiche virtù: intraprendenza, laboriosità, creatività, spirito di sacrificio.
ANNI ‘60–’80: IL RISVEGLIO AUTONOMISTA
I pionieri del movimento
Gli anni del miracolo economico vedono nascere i primi movimenti autonomisti moderni. Il Movimento Autonomo Regionalista Veneto (MARV) di Franco Rocchetta inizia a teorizzare il diritto del Veneto all’autogoverno, rivendicando il federalismo fiscale, la tutela della lingua veneta, il riconoscimento dell’identità storica.
Nel 1980 nasce la Liga Veneta, che porta in Parlamento le istanze autonomiste. Si inizia a parlare apertamente di “questione veneta”, di sperequazione fiscale tra Nord e Sud, di necessità di decentramento. Il successo elettorale della Liga dimostra che le rivendicazioni autonomiste non sono nostalgici residuali, ma esprimono bisogni reali e diffusi.
La riscoperta delle radici
Parallelamente al movimento politico, cresce una nuova consapevolezza culturale. Nascono riviste, case editrici, associazioni culturali che recuperano la storia veneta, promuovono la lingua locale, rivalutano le tradizioni. Il Veneto riscopre il suo passato glorioso e rivendica il diritto di costruire il proprio futuro.
ANNI ‘90–2000: AZIONI SIMBOLICHE E CRESCITA DELLA COSCIENZA IDENTITARIA
L’occupazione del Campanile e i “Serenissimi”
Il 9 maggio 1997, un gruppo di attivisti guidati da Luigi Faccia occupa simbolicamente il Campanile di San Marco, issando il vessillo di San Marco e proclamando la rinascita della Repubblica Veneta. L’azione, pur conclusasi con gli arresti, ha un impatto mediatico enorme e riaccende il dibattito sull’autonomia veneta.
L’evento diventa simbolico: dimostra che l’aspirazione all’autogoverno non è morta, ma ha saputo trovare nuove forme di espressione. I “Serenissimi” vengono processati per “attentato contro l’integrità dello Stato”, ma la loro azione viene percepita da molti veneti come un gesto di dignità e di rivendicazione legittima.
La maturazione del movimento autonomista
Gli anni ’90 e 2000 vedono una crescita costante della coscienza autonomista veneta. Nascono nuovi partiti e movimenti, si moltiplicano le iniziative culturali, si sviluppa una produzione editoriale e mediatica che alimenta il dibattito. Le amministrazioni locali leghiste iniziano a praticare forme di “disobbedienza istituzionale”, rifiutando di applicare normative centralistiche ritenute lesive degli interessi veneti.
2014-2017: DAL REFERENDUM “NON UFFICIALE” A QUELLO ISTITUZIONALE
Il referendum telematico del 2014
Dal 16 al 21 marzo 2014, si tiene un referendum consultivo online sull’indipendenza del Veneto, organizzato da associazioni autonomiste. Pur non avendo valore legale, l’iniziativa registra oltre 2,3 milioni di partecipanti, con l’89% di voti favorevoli all’indipendenza. L’affluenza e il risultato dimostrano la vitalità del sentimento autonomista.
Il referendum del 22 ottobre 2017
Il 22 ottobre 2017 – significativamente 151 anni dopo il plebiscito del 1866 – la Regione Veneto organizza un referendum consultivo ufficiale per chiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.
I numeri sono inequivocabili:
• Affluenza: 57,2% (2.328.373 votanti)
• Sì all’autonomia: 98,1% (2.285.872 voti)
• No: 1,9% (42.501 voti)
È il più chiaro mandato popolare nella storia del Veneto contemporaneo. Tutte le province votano massicciamente per l’autonomia, dimostrando che la richiesta attraversa territori, classi sociali, generazioni.
2017-2025: LA LUNGA ATTESA E LE NUOVE SFIDE
L’autonomia differenziata: promesse e delusioni
Nonostante il chiaro mandato referendario, i negoziati per l’autonomia differenziata si trascinano tra rinvii, cambiamenti di governo, resistenze centralistiche. Roma continua a temporeggiare, concedendo solo alcune competenze marginali mentre trattiene quelle fondamentali: fisco, infrastrutture, sanità, scuola.
La pandemia COVID-19 ha ulteriormente evidenziato i limiti del centralismo: le regioni più virtuose come il Veneto sono state spesso penalizzate da decisioni uniformi inadeguate alle diverse realtà territoriali.
Le nuove generazioni e la questione identitaria
Paradossalmente, mentre si attenuava la spinta autonomista tradizionale, tra i giovani veneti cresce una nuova consapevolezza identitaria. Facilitati dai social media e dalle nuove tecnologie, i giovani riscoprono la lingua veneta, la storia regionale, le tradizioni culturali. Nascono influencer, youtuber, artisti che utilizzano il veneto come lingua di espressione creativa.
LE RAGIONI PROFONDE DELLA RESILIENZA VENETA
Un modello di civiltà alternativo
La persistenza dell’identità veneta attraverso i secoli non è solo nostalgia del passato, ma espressione di un modello di civiltà alternativo basato su:
• Autogoverno e responsabilità: la tradizione repubblicana veneta ha sempre privilegiato la partecipazione diretta, la responsabilità individuale, il controllo dal basso del potere.
• Pragmatismo e concretezza: la cultura veneta privilegia il fare rispetto al discutere, i risultati concreti rispetto alle ideologie astratte.
• Apertura e cosmopolitismo: Venezia è stata per secoli ponte tra Oriente e Occidente, crogiolo di culture diverse. I veneti hanno sempre saputo essere locali e globali insieme.
• Innovazione e tradizione: la capacità di innovare rispettando le radici, di modernizzarsi senza perdere l’identità, di competere sui mercati globali valorizzando le specificità locali.
Il contributo veneto all’Italia e all’Europa
Il Veneto moderno ha dimostrato di essere una delle regioni più dinamiche d’Europa:
• Economia: 4° PIL regionale in UE, 2° esportatore italiano, modello di sviluppo sostenibile e diffuso
• Innovazione: centinaia di brevetti, eccellenze universitarie, distretti tecnologici avanzati
• Cultura: patrimonio UNESCO, tradizioni artistiche e artigianali, vitalità creativa
• Solidarietà: contributo netto al bilancio statale di oltre 15 miliardi annui
CONCLUSIONE: DALLA RESILIENZA ALLA RINASCITA
Oltre due secoli di prove non hanno piegato lo spirito del popolo veneto. Dalla traumatica caduta della Serenissima alle sfide della globalizzazione, i veneti hanno dimostrato una straordinaria capacità di resistenza, adattamento e rinnovamento.
La resilienza veneta si è manifestata in mille forme: nell’emigrazione che ha portato l’identità veneta in tutto il mondo, nella ricostruzione post-bellica che ha trasformato una terra devastata in un polo industriale avanzato, nella creazione di un modello di sviluppo originale basato su piccole e medie imprese, nella persistenza di lingua e tradizioni nonostante i tentativi di omologazione.
Oggi, di fronte alle sfide del XXI secolo – crisi ambientale, digitalizzazione, invecchiamento demografico, competizione globale – il Veneto rivendica il diritto di affrontarle con i propri strumenti, valorizzando la propria esperienza storica e le proprie specificità culturali.
Il referendum del 2017 ha certificato che questa aspirazione non è un vezzo di pochi nostalgici, ma la volontà di una popolazione intera che chiede di poter decidere del proprio destino. Una richiesta legittima, democratica e lungamente maturata, che affonda le radici in una storia millenaria di libertà e autogoverno.
La resilienza di ieri deve trasformarsi nella rinascita di domani. Non per chiudersi in un campanilismo sterile, ma per contribuire meglio al progresso dell’Italia e dell’Europa, valorizzando quel patrimonio di esperienza, creatività e laboriosità che è il contributo più autentico del popolo veneto alla civiltà mondiale.
La storia insegna che i popoli che sanno preservare la propria identità attraverso le tempeste della storia sono quelli che sanno anche costruire il futuro. Il Veneto ha dimostrato di saper resistere: ora chiede di poter rinascere.
Nicola Busin
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